Presentazione della mostra fotografica curata da Magali Leone ed apertura della XVIII edizione del festival “…dall’isola, dell’isola, di una penisola” di Susanna Mannelli
“… Cosa c’entrano le tartarughe del Costarica con una pubblicità dell’Aiax,… gli aiuti al terzo mondo col sentirsi vecchi a vent’anni, un dentista con Frank Zappa o il signore degli anelli con una colonia penale nel mediterraneo. Sono libere parole in un flusso di coscienza, gradi di separazione per creare una scaletta radiofonica? no fatti apparentemente stravaganti ma fatti ( banali casualità che tutto sono meno che banali) beh il più delle volte infatti è proprio per queste circostanze bislacche che le vite delle genti inciampano nei loro bisogni primari di verità e di bellezza. Errori, scuotimenti o scossoni, che ci distraggono io dico per nostra fortuna dall’ordinarietà, già scritta per noi da qualcun altro. E c’è una storia che può aiutarvi a far luce su questo piccolo intreccio, e comincia cosi:
C’era venti volte, venti anni fa … un’isola, detta Shcöggiu a sud ovest d’un’altra isola la Sardegna, nella periferia della vita culturale della penisola italiana…insomma qui, c’era in origine, un boccio o bocciolo, il getto, un pollone o virgulto, una causa prima, un inizio come principio, un avvio o l’ albore come d’ un embrione, una radice, la premessa e il fondamento o uno spunto come l’abbozzo d’ uno schizzo di gemma, un getto, un germoglio o un butto, un “botto” per l’appunto che come in tutte le terre fertili del globo sentiva il desiderio di espandere , di crescere e diventare pianta da frutto, nutrimento non peccaminoso di tutta l’umanità. Come in tutte le terre di mare anche in questo “Shcöggiu” s’incontrano i venti del mondo che fortificano le creature che ci vivono e le rendono nodose, quasi testarde, radicate nelle profondità delle terra resistenti e instancabili ma lente, parsimoniose, coscienti che per ingaggiare una lotta con le mareggiate di grecale o di libeccio serve energia e pazienza ma soprattutto la coscienza che si può essere spazzati via in ogni momento (…)
Nodosi, gagliardi e creativi erano i giovani di questo scoglio che io col senno di poi ho considerato una vera avanguardia artistica. Si sa c’è il centro del mondo, e le periferie, e si è quasi tutti concordi nel sostenere che le periferie amino la tradizione e i centri sperimentino la ricerca, questa e una geometria geografica o una geografia geometrica che forse andrebbe rivisitata. Questi giovani entusiasti del loro scoglio, un po’ meno delle storie di tradizione (…), hanno sentito il bisogno estremo di tutto il genere umano di raccontare se stessi. Il bisogno di sentirsi nel proprio tempo oltre che nel proprio luogo. Il bisogno estremo di ritualizzare l’atto creativo per renderlo pubblico e donarlo alla comunità. Il bisogno di creare bellezza. di incontrare bellezza. Il bisogno di essere bellezza. Insomma hanno fondato così niente popò di meno che un’avveniristica compagnia teatrale d’innovazione e ricerca ispirata al grande Ronald Reuel Tolkien, “La compagnia dell’anello”. Citando uno dei grandi maestri del teatro contemporaneo:” “Da dove può venire il rinnovamento? Da gente scontenta della situazione del teatro “normale” e che si assuma il compito di creare teatri poveri con pochi attori, “compagnie da camera” (…) oppure da dilettanti che lavorando al margine del teatro professionista, da autodidatti siano arrivati ad uno standard tecnico di gran lunga superiore a quello richiesto nel teatro dominante; in una parola, pochi matti che non abbiano niente da perdere e che non temano di lavorare sodo.” – Jerzy Grotowski -.
Ecco appunto pochi matti… matti sì ma pochi non si può certo dire. Sul nostro scoglio giocavano seriamente a fare il teatro trenta ragazzi in età tra i 15 e i 25 anni. Mentre un’altra matta voleva giocare seriamente a fare il teatro nel luogo nevralgico del nostro stivale, Roma, appunto. Dico voleva perché in quell’epoca era scoppiato il rampantismo, il denaro invadeva a macchia d’olio come bisogno di possesso ogni rimasuglio di creatività, era l’epoca della Milano da bere, dello spreco e della pubblicità. Della pubblicità appunto infatti un teatrante se voleva sopravvivere tra uno spettacolo fatto nella cantina del vicino di casa sfrattato da mesi per morosità e il mimo nelle opere liriche di Caracalla, faceva la pubblicità. Così, io, che sono quella matta feci la pubblicità dell’Aiax, quella rimasta alla storia per l’improbabile adattamento della Carmen di Bizet, in cui un esercito di casalinghe ballerine lanciavano energicamente dei secchi in aria, che ricadevano sulle loro teste ferendole, urlando: “pulito si fatica no”. Quella, e con quella toccai gli abissi della vacuità della vita.
“Basta smetto di fare questo mestiere, ormai sono vecchia, basta non lo faccio più…vado in Costarica a filmare la riproduzione delle tartarughe giganti” Questo avevano proposto a me e a mio Marito dentista amante di Frank Zappa e del mare, Riziero Moretti in Rizieri. (Ora siamo i Rizieri)
Il progetto del Costarica fallì noi già frequentavamo quest’isola ci piaceva assai. Trasferiamoci, e così fu, pensando che “tanto facendo prevalentemente la scritturata, partire in tournée da Roma o dallo scoglio era la stessa cosa!” …LA STESSA Colonia penale, camminavo su e giù per la banchina contando i traghetti che attraccavano che a quei tempi non erano neanche tanti. Si venne a sapere per vie traverse e ancora misteriose che sullo scoglio aveva attraccato una certa attrice che aveva addirittura fatto la pubblicità dell’Aiax, e la compagnia dell’anello in un momento di bisogno la convocò. Insomma eccoci tutti finalmente riuniti sullo Shcöggiu i nodosi matti creativi indigeni e quelli disillusi un po’ citrulli e molto underground. Una “Società di mutuo soccorso” sono cominciate così le nostre collaborazioni sempre più strette e più professionali (…) Questa è la dimensione di verità dove ho ritrovato quella voglia genuina di comunicare quel bisogno di agire e sperimentare per creare condivisione patrimonio del teatro come comunità. E il vero senso di questo mestiere. Citando un altro grande artista contemporaneo: “Ovunque vi sia una società umana, l’insopprimibile Spirito della Performance si manifesta. Sotto gli alberi in piccoli villaggi, o sui palcoscenici ipertecnologici delle metropoli globalizzate; negli atri delle scuole, nei campi e nei templi; nei quartieri poveri, nelle piazze urbane, nei centri sociali, nei seminterrati, le persone si raccolgono per condividere gli effimeri mondi del teatro, che noi creiamo per esprimere la complessità umana, la nostra diversità, la nostra vulnerabilità, nella carne vivente, nel respiro e nella voce. Ci riuniamo per piangere e ricordare, per ridere e riflettere, per imparare, annunciare e immaginare; per meravigliarci dell’abilità tecnica e per incarnare gli dei; per riprendere fiato collettivamente di fronte alla nostra capacità di bellezza, compassione e mostruosità. Veniamo per riprendere energia e rafforzarci; per celebrare la ricchezza delle nostre differenti culture e dissolvere i confini che ci dividono. Ovunque vi sia una società umana, l’insopprimibile Spirito della Performance si manifesta. Nato dalla comunità, indossa le maschere e i costumi delle nostre diverse tradizioni; rinforza le nostre lingue, i nostri ritmi e gesti, e si fa spazio in mezzo a noi. E noi, gli artisti che lavoriamo con questo spirito antico, sentiamo il dovere di trasmetterlo attraverso i nostri cuori, le nostre idee e i nostri corpi per rivelare le nostre realtà in tutta la loro mondanità e nel loro splendente mistero. Ma in quest’epoca in cui milioni di persone lottano per sopravvivere, soffrono sotto regimi oppressivi e un capitalismo predatore, o sfuggono conflitti e miseria; in quest’epoca in cui la nostra vita privata è violata da servizi segreti e le nostre parole sono censurate da governi invasivi; in cui le foreste vengono distrutte, le specie sterminate e gli oceani avvelenati: che cosa ci sentiamo in dovere di rivelare? In questo mondo di potere ingiusto, nel quale diversi ordini egemoni cercano di convincerci che una nazione, una razza, un genere, una preferenza sessuale, una religione, una ideologia, un contesto culturale è superiore a tutti gli altri, come si può sostenere che le arti debbano essere svincolate dalle agende sociali? Noi, gli artisti delle arene e dei palcoscenici, ci stiamo conformando alle domande asettiche del mercato, oppure stiamo afferrando il potere che abbiamo: per fare spazio nei cuori e nelle menti della società, per raccogliere le persone attorno a noi, per ispirare, incantare e informare, e per creare un mondo di speranza e di sincera collaborazione?” – Brett Bailey “Bötti du Shcöggiu” ha compiuto quindi venti anni e si trova a dover affrontare un futuro di venti contrari, ma siamo tutti provetti rematori e il nostro impegno è proseguire il lavoro di ricerca teatrale e promozione dello spettacolo dal vivo che ci contraddistingue, senza rinunciare alla qualità. Vogliamo poter offrire al pubblico ancora a lungo una programmazione interessante e divertente.
Un grazie particolare a tutti i “mecenati” pubblici e privati che non ci hanno abbandonato nonostante le loro stesse difficoltà economiche ed agli artisti ospiti che in questi anni con la loro generosità e solidarietà, hanno contribuito a nutrire questa pianta da frutto.
Susanna Mannelli